Articolo su DLui - Officine d'Italia

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CAZZANIGA RM - mer 18 dic - dicono di noi

Fabrizio Ravelli ha scritto per DLui, il magazine maschile di Repubblica, un articolo sulle Officine d'Italia, nel quale parla di noi, Cazzaniga RM, la rettifica motori tra le più prestigiose e attrezzate presenti oggi in Italia ed Europa.

Di seguito, l'articolo completo:

«Eh sì, siamo in declino, in declino».

Giovanni Ganzinelli, 61 anni, ride. Pare un tipo allegro, a parte tutto. «Vede qui? Eravamo in dieci, una volca». Fa un ge­sto circolare che abbraccia l'officina di via Signorelli, una traversa di via Pao­lo Sarpi. Un posto che sembra uscito da metà secolo scorso, come se non fosse cambiato da quando suo padre lo aprì nel 1958. Luce scarsa, macchine (tor­nio, alesatrice, fresa, lappatrice) grigio scuro e unte d'olio lubrificante. Alle pa­reti, calendari con ragazze nude, una grande foto di Gilles Villeneuve, molce Alfa Romeo. Ganzinelli è un alfista sfe­gatato, ancora gira con una Giulia GT da lui stesso preparata. LAlfa e il ballo liscio sono le sue passioni, qualcosa per tenersi su in questo "declino".

 

C'è stata un'Età del Ferro, a Milano. Dagli anni '50, epoca cli ricostruzio­ne post-bellica, di grande fermento metallico, fino ai '60 e '70, quando è cominciata la discesa. Allora, di offici­ne meccaniche era piena la città. Non solo nei quartieri satellite della periferia, o nei caseggiati popolari oltre la cerchia della circonvallazione. Anche dove la piccola e media borghesia si rassettava, tornava ai suoi uffici e commerci e com­prava a rate la prima automobile, mol­ti cortili ospitavano le scintille, i fumi e l'odore di metallo caldo. Erano ope­rai-artigiani, piccolissimi imprenditori di se stessi e di pochi dipendenti. Gente che pensava con le mani. Con l'orgoglio del lavoro ben fatto. Lontani dalla cate­na di montaggio delle grandi fabbriche, ma con la stessa testa.

Una volta, alla fine della scuola profes­sionale o come test per l'assunzione in fabbrica, gli operai realizzavano quel­lo che si chiamava "il capolavoro". Un oggetto, un manufatto di ferro o d' ac­ciaio, ideato da loro e che ne mostrasse l'abilità. Contava l'ingegno ma soprat­tutto la precisione, la "tolleranza", che si misurava fino al centesimo di milli­metro. Nelle officine sparse in città la­vorava questo particolare tipo di classe operaia. Che aveva un suo stile di vita, e anche una sua morale. Orgoglio della propria indipendenza. Sobrietà. Fatica. Mani sporche di giorno, lavate alla sera con la pasta Wolf dall'odore di mandor­la, e vestiti immacolati la domenica. I fi­gli in ordine. L utilitaria.

 

Ganzinelli ha cominciato a 14 anni, dopo la terza media. Nella sua offici­na, La Rettifica Milanese, ancora ades­so si fanno, appunto, rettifiche. Vale a dire che si rimettono in sesto le te­state, i condotti, le bronzine, le valvo­le dei motori d'auto. «Solo che ormai ce la caviamo solo con le macchine vec­chie. Con quelle di adesso, addio. I ta­gliandi che si facevano a 7-1 O mila chi­lometri ora si fanno a 30mila. E a noi ci ha fregato l'ingegnere che ha inventato l'olio sintetico, che quasi non lascia più scorie. Per fortuna c'è ancora qualche automobilista che fa 80mila chilometri senza controllare l'olio». Dice che co­munque stanno chiudendo tutte le ret­tifiche, a Milano. Ora qui, oltre a lui, lavorano solo due operai. «Ho provato qualche ragazzo, ma sono tutti un disa­stro. Si lamentano che non c'è il com­puter. Non stanno nemmeno in piedi, da magri che sono. Ma qui non ti puoi appoggiare alle macchine, se vuoi te­nerti le braccia».

 

C'è anche chi il declino l'ha evitato, scommettendo sullo sviluppo. Gan­zinelli lo sa: «Ramo rettifiche, vada a vedere il Cazzaniga di via Ampère, che spettacolo di officina». E infatti, lì è tut­ta un'altra musica. La Cazzaniga RM è nata nel 2001 dalla fusione di due ret­tifiche storiche, la Cazzaniga Giuseppe fondata nel 1966 e la Rettifica RM nel 1976. Vale a dire che Franco Cazzani­ga (figlio di Giuseppe) e Francesco Ra­vera (figlio di Angelo Ravera), entrambi "figli d'arte", hanno valutato che c'era­no due strade. O finire come «le vecchie rettifiche fossilizzate», destinate all' e­stinzione, oppure investire e rischiare. «Ci davano tutti dei matti», dice Fran­co. E in effetti, di soldi ne hanno scom­messi parecchi. Le loro macchine arriva­no a costare 2-300mila euro l'una: per esempio il centro di lavoro a 5 assi Rott­ler, le rettifiche per sedi a cnc Newen, o la macchina di pulizia a ultrasuoni. 

La scommessa è stata di non buttar­si sulle auto d'epoca come ripiego, ma specializzarsi. Fino a diventare, come ri­vendicano sul sito, «una rettifica motori fra le più attrezzate e prestigiose in ltalia e in Europa». Per cui si fanno anche lavori di routine su motori di pullman, camion o trattori. Ma il business prin­cipale sono le "casistiche particolari". E cioè rimettere in sesto motori di auto storiche che valgono anche milioni di euro, per clienti che chiedono il meglio assoluto e sono disposti a spendere in proporzione. Franco mostra sulle scaf­falature motori che, per gli intenditori, sono opere d'arte: Ferrari, Lamborghi­ni, Lancia. «Vede quello? È di un'Alfa Romeo Giulia 55, e arriva dal Giappo­ne. Il proprietario l'ha spedito fin qui, per farlo rimettere a nuovo, perché dal­le sue parti si vede che non si fidava».

 

Un'altra officina che pare una clinica è quella della Omem, in via Donizetti a Cusano Milanino. Qui Alberto Mazzo­ni, 45 anni, manda avanti l'azienda fon­data dal padre nel 1966. Padre, e pri­ma di lui il nonno, che venivano dalla storica TBB /Tecnomasio Brown Bave­ri; poi fino a quattro anni fa a Turro, in via Grado, e ora questa Omem che ha otto dipendenti fissi più quattro esterni. Agli inizi, stampi e tranceria. Ora meccanica di alta precisione: cinque centri a cinque assi, macchine quasi tutte svizze­re. «Soprattutto lavoriamo acciaio inox e titanio per il settore medicale. Quin­di strumentazione per impianti, protesi dell'anca e del ginocchio». Una vetrina mette in mostra il campionario, pezzi di metallo di varia dimensione che fi­niscono a sistemare rotule, femori e ossa sconquassate.

 

Per trovare officine dove ancora le mani prevalgono sui computer, a Mi­lano, bisogna cercare fra i meccanici di auto e moto. Tutta gente che magari fa fatica, ma ci mette passione. Luca Cian­ca, che a 57 anni manda avanti la sua officina in via Valtellina, ha imparato il mestiere dal padre Costantino, umbro di Spoleto. Fin da bambino, quando l'officina era in via Thaon di Revel e poi in viale Stelvio. «Diciamo che ho scel­to questa strada un po' per forza e un po' per amore. C'era bisogno di guada­gnare, e un mestiere ce l'avevo. Ma mi ha anche dato soddisfazioni, ci ho man­tenuto la famiglia, mi sono comprato casa, sempre rompendomi il culo, con rispetto parlando». Ora, fra diagnosi elettroniche («Ce l'ho anch'io la mac­china elettronica, 5mila euro»), auto ibride, carsharing e noleggio a lungo termine, la strada si restringe. Ma ci sarà sempre qualcuno che ha bisogno di farsi aggiustare l'auto senza rovinar­si: «E sai quanto devo girare Milano a cercare pezzi di recupero».

 

Era un bambino anche Giancarlo Tosi, 70 anni, quando ha cominciato nell'of­ficina del padre in corso Lodi, che anco­ra manda avanti. Abita qui sopra, e qui è nato. Moto Guzzi, dice l'insegna. E una volta erano solo Guzzi da sistema­re, come il Galletto («La moto dei pre­ti») e il Super Alce, che sono in vetrina («Ma sono di un cliente, che le vende»). Pezzi di autentico antiquariato stanno sugli scaffali: serbatoi, bielle, fanali, pa­rafanghi. Tosi aspetta solo di stufarsi per chiudere, perché i figli hanno preso al­tre strade. «Ancora qualche anno», dice. Gli hanno raccontato che la famiglia è stata a un pelo dal diventare ricca: «Nel '45, nei giorni della Liberazione, aveva­mo qui in riparazione un motocarro te­desco. Il cassone era pieno raso di soldi, milioni e milioni. I tedeschi se lo sono ripreso e sono scappati».

 

E c'è anche chi, fra un motorino e l'altro, coltiva una vena artistica. Stefano Fontana, 56 anni, col fratel­lo quasi gemello Angelo (dieci mesi di differenza) manda avanti l'officina Ottocilindri di via Paolo Giovio, fonda­ta nel '66 dal padre Pierino: «A dieci anni, dopo la scuola scendevamo qua. Abitavamo sopra, al terzo piano». Ste­fano è un meccanico-artista. Su un soppalco tiene le sue opere: sculture fatte con pezzi tagliati e saldati. Un Pi-nocchio, un cavaliere, una papera, una gallina, un robot. «Pensi che qui la­voravano sette operai, e il negozio era più piccolo». Lavoro ce n'è ancora, e la gente del quartiere usa l'officina come centro sociale, servizio di portineria pacchi, salotto per le chiacchiere.